Nel genere poliziesco ci sono libri che, anche se imperfetti, devono assolutamente essere letti. Perché il poliziesco ha il merito, a volte, di farci conoscere mondi e storie che ci sono lontani e in gran parte sconosciuti. Per questo scelgo di fare gli auguri di Natale segnalando “I diciannove angeli” (Piemme), firmato dall’americana Zoë Ferraris e tradotto da Monica Capuani. È un po’ datato (è uscito nell’aprile del 2013), ma i suoi contenuti sono attualissimi, essendo ambientato in Arabia Saudita, terra che in genere, in Occidente, associamo al petrolio e a qualche favola da “Le mille e una notte”. Ebbene, “I diciannove angeli” alza il velo – è proprio il caso di dirlo – su un mondo che, al primo impatto, sembra quasi inimmaginabile.
Non credo di aver letto niente di migliore, finora, per conoscere quale sia lo stile di vita dei sauditi e degli arabi in generale, quanto incidano sulla loro vita i precetti del Corano e quelli della Sharia. Il romanzo della Ferraris, inoltre, è soprattutto la chiave per capire quale sia la condizione di vita delle donne, nascoste dietro il burqa (alcune per convinzione, molte altre per pura e non aggirabile convenzione), quasi del tutto impossibilitate a muoversi da sole, costrette a frequentare centri commerciali e banche a loro dedicati, libere di azioni proprie – e non sempre è così – solo nel chiuso delle loro case. E poi c’è l’altra faccia del dorato mondo arabo saudita: gli immigrati asiatici destinati a svolgere i lavori più duri e più umili, le angherie che subiscono, lo stato di assoluta povertà in cui cercano di sopravvivere. Insomma, un affresco potente di un mondo che noi occidentali non conosciamo affatto o conosciamo poco e male.
L’imperfezione del libro che ho richiamato all’inizio riguarda l’intreccio giallo. Ben costruito e originale nella parte iniziale, il suo svolgimento e la soluzione finale soffrono invece di qualche passaggio un po’ troppo frettoloso. È un peccato, perché c’erano tutti gli ingredienti per farne un poliziesco di ottimo livello.
L’imperfezione, comunque, dal mio punto di vista è perdonata. Tutte le vicende e le descrizioni che ruotano intorno alla trama gialla valgono da sole il libro.
Per chi è curioso di sapere cosa narra il romanzo, ecco la scheda editoriale:
Una striscia di sabbia nel cuore del deserto saudita, quasi inaccessibile. Qui, sotto un sole autunnale che picchia impietoso, un beduino ha trovato il corpo di una donna. Il volto sfigurato, le mani recise di netto e fatte sparire. Ma quando la polizia arriva sul posto e inizia i suoi accertamenti, emerge un quadro molto più allarmante. Sono diciannove i cadaveri riportati alla luce, tutti di donne e tutti ugualmente mutilati. Un numero che potrebbe essere casuale, se non fosse per il richiamo a un verso del Corano. Della delicata indagine viene incaricato l’ispettore Ibrahim Zahrani. È il caso più importante della sua vita, ma Ibrahim non può dedicarvi tutte le sue energie perché un dramma molto più privato lo ha colpito: Sabria, la donna con cui ha una relazione extraconiugale, è sparita nel nulla. Ad affiancarlo nelle ricerche è Katya, tecnico della Scientifica che, sul lavoro, paga il suo essere donna ogni giorno. In un intreccio sempre più fitto di lavoro e vita privata, entrambi sperimenteranno sulla propria pelle la durezza di un Paese che non ha pietà per chi infrange le regole e in cui nascere donna è più che mai una condanna.
Importante, a mio avviso, per capire perché un’americana sia stata in grado di penetrare così a fondo nei segreti del mondo arabo, è conoscere almeno qualche cenno della biografia di Zoë Ferraris: americana, dopo la Guerra del Golfo si è trasferita a Jeddah, in Arabia Saudita, dove ha vissuto nella comunità beduina di appartenenza dell’ex marito, di origine saudita-palestinese. Nel 2006 ha conseguito un Master in scrittura creativa alla Columbia University. Ora vive a San Francisco.
Non c’è altro da dire. Spero che leggerete il libro. Intanto, vi auguro Buon Natale!