Fra le tante novità editoriali uscite a cavallo tra la fine dell’anno appena passato e quello appena iniziato, mii piace segnalare “La costola di Adamo” (Sellerio), con il quale Antonio Manzini propone la seconda indagine del vicequestore Rocco Schiavone. La prima avventura – “Pista nera” -, di cui ho scritto in questo blog alcuni mesi fa, non solo era un buon libro giallo ma aveva il pregio di proporre un personaggio – l’investigatore protagonista – costruito ottimamente, ricco di sfaccettature e misterioso quasi più del caso che doveva risolvere. Perché Rocco Schiavone è un personaggio che suscita qualche antipatia, e però si fa amare e, soprattutto, incuriosisce. Sono contento, dunque, di ritrovarlo alle prese con un nuovo mistero da chiarire.
Per la trama, ma anche per ricordare i tratti principali del vicequestore Schiavone, preferisco riportare la scheda editoriale, che da sola riassume bene entrambi i punti:
«Il vicequestore sorrise nel pensare alla somiglianza che sentiva tra lui e quel cane da punta». Rocco Schiavone ha la mania di paragonare a un animale ciascuna delle fisionomie umane che gli si para davanti. Ma più che il setter che gli suscita quell’accostamento, lui stesso fa venire in mente uno spinone, ispido, arruffato e rustico com’è: pur sempre, però, sottomesso all’istinto della caccia. È uno sbirro manesco e tutt’altro che immacolato, romano di conio trasteverino, con una piaga di dolore e di colpa che non può guarire. Ad Aosta, dove l’hanno trasferito d’ufficio, preferirebbe tenere le sue Clarks al riparo dall’acqua e godersi i suoi amorazzi, che non imbarcarsi in un’altra inchiesta piena di neve. Una donna, una moglie che si avvicinava all’autunno della vita, è trovata cadavere dalla domestica. Impiccata al lampadario di una stanza immersa nell’oscurità. Intorno la devastazione di un furto. Ma Rocco Schiavone non è convinto. E una successione di coincidenze e divergenze, così come l’ambiguità di tanti personaggi, trasformano a poco a poco il quadro di una rapina in una nebbia di misteri umani, ambientali, criminali.
Per dissolverla, il vicequestore Rocco Schiavone mette in campo il suo metodo annoiato e stringente, fatto di intuito rapido e brutalità, di compassione e tendenza a farsi giustizia da sé, di lealtà verso gli amici e infida astuzia. Soprattutto, deve accettare di sporgersi pericolosamente verso il mondo delle donne, a respirare il carattere insinuante, continuo, che assume la violenza quand’è esercitata su di loro. Ogni interrogatorio condotto da Rocco Schiavone accende la curiosità della prossima rivelazione, ogni suo passo sollecita l’attesa del nuovo indizio, mentre intorno si sparge contagiosa la crescente sua commozione, si trasmette il suo malumore, e si fa convincente il pessimismo sgorgato dal suo «baratro di tristezza».
Tanti ingredienti, insomma, e ben miscelati. Dunque, buona lettura!